Quando siamo accanto ad un bambino la misura del tempo e dello spazio deve essere sempre “grande”. La famiglia è un contesto educativo privilegiato, non ha bisogno di grandi lezioni ma piuttosto di sguardi e attese. Ci sono emozioni che sono dentro il profondo di ogni persona che devono uscire da sé ed essere “narrate”. Allora occorre fare spazio e creare le condizioni per un ascolto che mette in moto non solo le orecchie ma tutto noi stessi, una posizione che interpella e non lascia in pace nel senso più bello e nobile del termine.
Nella famiglia ci si educa alla capacità di attendere, in un momento storico di ansia generale e di fretta tecnologica che a volte porta ad un reale autismo.
Imparare a guardare negli occhi il proprio figlio, piccolo o grande che sia, collocarsi l’uno di fronte all’altro ad ascoltare, a condividere, a rispettare pensieri e parole non come orti o recinti chiusi ma mondi che si incontrano e vogliono dialogare.
Essere genitori è un vantaggio, educare è un compito artigianale da persona a persona, ogni volto è una storia. Federico, un piccolo di due anni giorni fa sgranando gli occhi mi domanda quasi senza guardarmi in faccia: “Perché oggi sei qui in casa mia?” Domanda curiosa? Si domanda che all’apparenza sembra quasi scontata ma se ci fermiamo un attimo a riflettere è una domanda che sottende altro: sono contento di vederti qui, questa non è la tua casa ma puoi starci con me, grazie che sei venuta.
Quante domande dei nostri figli lungo la giornata restano scontate?