Ma è vero che tu sei la mamma di mio papà?
Federico formula sempre questa domanda quando entra in casa dei nonni: ha bisogno di certezze, non gli basta l’istinto affettivo che incontra in quelle stanze.
Ha bisogno di essere “certo” della sua origine, ma non solo, anche di quella di suo padre e di sua madre.
I nonni in fondo servono anche a questo, a certificare quel “di generazione in generazione” che crea la storia personale e della comunità dove si vive.
In fondo l’educazione è la consegna generazionale di ciò che per me è prezioso, si tratta di relazioni, fatti, immagini, che costituiscono una “memoria”… che è più di un ricordo.
Il ricordo di una persona si infila nella parte più intima dei nostri affetti e lì viene custodita, ma la memoria parla all’oggi, è invadente, non ti lascia in pace e ti fa sobbalzare quando con superficialità la dimentichi.
Il ricordo è sempre custodito dalla persona, mentre la memoria diventa presenza che interpella.
Quindi quel “chi sei tu” - la mamma di mio papà - fa esplodere nel bambini la domanda: di chi sono io?
Domanda che nei nostri piccoli si ripete quasi in modo inconsapevole, ma che per noi è “la domanda”.
Non c’è età per rispondere a quella domanda, al contrario più passano gli anni e più si scopre che fatti e gesti si intrecciano per costruire la trama della tua vita, tutta e senza tempo.
Come adulti cerchiamo di non barare nascondendo “la domanda”, così intrigante, in una tasca, magari quella del nostro cappotto più inutilizzato, ma lasciamoci interrogare.